Prodotto abortivo significato: come abbiamo superato la definizione di prodotto abortivo ed ottenuto l’attestazione di nascita.
Ho a lungo riflettuto sulla opportunità di rendere pubblico un caso come quello appena risolto.
Si è trattato infatti di scegliere tra la volontà di tenere riservate storie di vita vissuta dolorose per le persone coinvolte e quella di offrire a chi legge, magari nella stessa situazione, la speranza di ottenere giustizia.
Quella giustizia che non guarisce dai dolori che la vita spesso arreca, ma che suona come una carezza sul cuore delle persone da questi afflitte.
Quella giustizia che unisce l’etica al diritto.
Questo ho detto ai miei Assistiti quando mi hanno ringraziato per il lavoro svolto.
Dunque, nel rispetto della riservatezza delle persone coinvolte (verranno indicati solo nomi di fantasia), è prevalsa la volontà di diffondere la notizia a beneficio di tutte le persone che si trovano nella stessa situazione.
Il caso
Un pomeriggio di qualche mese fa si recano nel mio Studio due persone per raccontarmi dell’esperienza avuta in occasione della nascita del loro bambino, purtroppo, nato morto.
Mi raccontano di non essere riusciti ad ottenere la registrazione del figlio, Riccardo, nei registri dello Stato Civile.
La frustrazione, che si aggiunge alla disperazione per il lutto, era tangibile.
Mi portano copiosa documentazione.
Mi riservo di studiarla, come sempre faccio, e li congedo con la promessa di aggiornarci quanto prima.
Perché l’Ufficiale di Stato Civile rifiuta la registrazione
Tra la documentazione che i miei Assistiti mi lasciano in Studio, c’è il rifiuto opposto dall’Ufficiale di Stato civile alla richiesta di iscrizione tardiva di loro figlio nei relativi registri, presentata ai sensi dell’art. 31 D.P.R. n. 396/2000.
Si legge: l’Ufficiale di Stato civile ai sensi dell’art. 7 D.P.R. n. 396/2000 rigetta l’istanza di registrazione nei registri dello Stato civile del figlio nato morto.
Il motivo: l’omessa allegazione dell’attestato di nascita del bambino.
Atto la cui formazione, giova premetterlo, è delegata ai sanitari che hanno assistito al parto.
Risalendo alla fonte del problema, mi imbatto in uno scambio di interessanti comunicazioni e-mail intercorso tra i miei Assistiti e gli Uffici dell’Ospedale capitolino.
Ebbene, la mancata allegazione dell’attestato di nascita all’istanza di iscrizione nei registri dello Stato civile non era imputabile ad una mera disattenzione degli istanti, bensì all’assenza di questa.
In altre parole, la Direzione sanitaria dell’Ospedale romano ove era nato morto il bambino aveva espressamente rifiutato di formare l’attestazione di nascita, senza rendere alcuna motivazione a supporto né, tantomeno, alcun riferimento normativo.
L’Ospedale si limitava a istruire i genitori della facoltà attribuita agli stessi di addivenire alla sepoltura di Riccardo, ai sensi del Regolamento di Polizia mortuaria, D.P.R. n. 285 del 1990, trattandosi di prodotto abortivo.
Perché l’Ospedale non forma l’attestazione di nascita
In assenza di qualsivoglia spiegazione da parte dell’Ospedale circa la mancata formazione e rilascio dell’attestato di nascita, ho dovuto creare il mio convincimento alla luce della normativa vigente e della mia esperienza a contatto con le direzioni sanitarie di molti nosocomi, con cui solitamente mi interfaccio per risolvere questioni legali.
Ed invero, il motivo dell’omessa formazione dell’attestazione di nascita e dunque del rilascio della stessa ai miei Assistiti è stato fondato sul presupposto che il feto al momento della separazione dal corpo della mamma avesse un’età gestazionale pari a 22 settimane + 6 giorni, ossia inferiore alle 28 settimane, dando luogo ad una illegittima distinzione tra bambini in età gestazionale più o meno avanzata.
Ed infatti è prassi delle direzioni sanitarie, tanto comune, quanto illegittima, quella di distinguere tra bambini che abbiano compiuto o meno le 28 settimane di gestazione.
Con la conseguenza che ove siano di un’età gestazionale inferiore vengono definiti come prodotti abortivi; ove, al contrario, abbiano superato detta soglia, come bambini nati morti.
Una distinzione sulla scorta della quale è stata fondata la decisione di non formare l’atto di nascita, in quanto attestazione erroneamente riferita ai soli bambini nati morti.
Tutto ciò, preme precisarlo sin da ora, fornendo un’errata lettura estensiva delle norme di polizia mortuaria.
Ma su ciò si dirà meglio nel prosieguo.
Tornando alla decisione assunta dalla struttura ospedaliera, ne consegue, seguendo la logica delle prassi delle Direzioni sanitarie che i prodotti abortivi non hanno diritto ad assumere il cognome paterno, i bambini nati morti sì.
Riepiloghiamo:
Prodotto abortivo significato
Seguendo le errate prassi ospedaliere, per prodotto abortivo si intende il bambino, con un’età gestazionale inferiore alle 28 settimane, che al momento della separazione dal corpo della mamma è privo di vita.
Si tratta di una definizione proveniente dal Regolamento di Polizia mortuaria, nella parte dedicata alla sepoltura dei bambini nati morti, evidentemente (erroneamente) estesa anche all’ambito relativo al rilascio dell’attestazione di nascita con inevitabili conseguenze rispetto alla possibilità di ottenere la registrazione anagrafica del bambino.
Prodotto abortivo e bambino nato morto: differenza
Alla luce del significato attribuito alla locuzione prodotto abortivo, è possibile ricavare cosa si intenda per bambino nato morto.
Il bambino nato morto è il bambino, con un’età gestazionale superiore alle 28 settimane, che al momento della separazione dal corpo della mamma è privo di vita.
Questo sì, ritenuto idoneo a ricevere l’attestazione di nascita e quindi la registrazione anagrafica.
Ma è veramente questa la giusta ricostruzione normativa?
La legge veramente riserva la definizione di prodotti abortivi ai bambini nati morti prima della 28esima settimana di gestazione?
E se così è, quali sono le conseguenze rispetto al diritto di attribuire il cognome paterno al bambino?
Il mio parere legale
L’esame della documentazione prodotta dai miei Assistiti mi conduceva a delineare con assoluta certezza l’illegittimità della condotta perpetrata dall’Ospedale romano.
La negazione dell’attestazione di nascita si delinea come illegittima e la carenza motivazionale una aggravante del contegno assunto.
Non vi è infatti alcuna norma che prevede la distinzione tra bambini nati morti e prodotti abortivi, ai fini che interessano i miei Assistiti, ossia al fine di ottenere l’iscrizione del figlio morto in utero nei registri dell’Anagrafe, cui il rilascio dell’attestazione di nascita costituisce condizione necessaria.
Spetta ai sanitari che assistono al parto formare l’attestazione di nascita, i quali sono tenuti a renderla senza eccezione alcuna.
Cosa dice la legge
È fondamentale in tale materia richiamare il D.P.R. 346/2000, dettante il “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile” norma cardine della disciplina che qui ci interessa.
L’art. 30, commi 2 e 3 prevede infatti che l’attestazione di nascita debba essere resa dai sanitari che assistono al parto (come nel caso di specie); ovvero dal sanitario che intervenga successivamente, ove il parto non sia assistito.
È evidente che la succitata norma non contempla l’ipotesi in cui il sanitario possa rifiutare la formazione dell’atto di nascita.
Alla medesima conclusione conduce altresì il comma 5, del citato art. 30, D.P.R. 396/2000 che trattando specificamente il caso di bambini nati morti, pone un’unica eccezione alla regola generale.
Un’unica eccezione consistente nella individuazione del soggetto che deve ricevere la Dichiarazione di nascita del bambino nato morto, si badi bene la dichiarazione di nascita è atto diverso dall’attestazione di nascita (di cui invece qui si tratta).
Titolare di tale adempimento, ossia di ricevere la suddetta dichiarazione, è direttamente l’Ufficiale di Stato civile e non più la Direzione sanitaria.
Evidente è dunque che se il legislatore avesse voluto porre un’ulteriore eccezione alla regola generale applicabile nei casi di bambini nati morti, eliminando in capo alla direzione sanitaria anche l’onere di formulare l’attestazione di nascita l’avrebbe fatto, al pari di quanto disposto per la dichiarazione di nascita.
Ed ancora, alcuna specificazione alla disciplina generale dettata dal D.P.R. 396/2000 in tema di formazione dell’attestazione di nascita proviene dalle circolari ministeriali, quale la n. 15 del 19.12.2001: all. 5 e da quelle regionali, di cui al prot. n. 52583 del 7.11.2002: all. 6, dedicate alla materia.
Ma vi è di più.
La normativa europea col Regolamento n. 328/2011 del 5 aprile 2011, art. 2, lett. b), precisa inequivocabilmente che la definizione di nato morto deve riguardare la morte del feto, ossiail decesso prima dell’espulsione o dell’estrazione completa dal corpo della madre, quale che sia la durata della gestazione.
In ultimo, a scanso di ogni possibile equivoco, giova precisare che il più volte richiamato, anche da autorevoli fonti, Regolamento di polizia mortuaria, di cui al D.P.R. n. 285 del 1990, rappresenta nel nostro ordinamento l’unico caso in cui viene operata una distinzione tra bambino nato morto e prodotto abortivo.
A ben vedere però tale normativa è del tutto ininfluente ai fini dell’iscrizione dell’atto di nascita, ovvero della formazione della presupposta attestazione da parte dei sanitari che hanno assistito al parto.
La disposizione del citato Regolamento di polizia mortuaria è, infatti, caratterizzata da un fine meramente amministrativo di “gestione” e “smaltimento” del corpo del bambino nato morto.
Peraltro, il medesimo Regolamento non limita i diritti e gli interessi delle parti coinvolte -sulla scorta di una differente età gestazionale- ma, al contrario, ne consente un’estensione, conferendo loro la possibilità di esercitare il diritto di scelta rispetto al seppellimento del bambino.
Al contrario, l’illegittimo distinguo tra età gestazionali che l’Ospedale adotta al fine della formazione dell’attestazione di nascita, originato da un’errata interpretazione delle norme vigenti in materia, non fa altro che limitare la libertà e i diritti dei genitori, odierni ricorrenti, rispetto alla possibilità che il bambino riceva il giusto riconoscimento come essere umano, attraverso l’attribuzione di un nome e l’iscrizione nel certificato storico della propria famiglia.
Come abbiamo ottenuto l’attestazione di nascita
Queste appena indicate le ragioni che ci hanno spinto a proporre dinanzi al Tribunale di Roma il ricorso per l’ottenimento dell’iscrizione anagrafica del piccolo Riccardo.
Un procedimento che ha visto la pronuncia di un provvedimento interlocutorio che ha “autorizzato” i ricorrenti a richiedere all’Ospedale romano il rilascio dell’attestazione, definendo illegittima la condotta omissiva perpetrata, sulla scorta delle ragioni in fatto e diritto proposte nel ricorso.
Una diffida inviata all’Ospedale interessato dalla vicenda che ha reso impossibile per la Direzione sanitaria rifiutare la formazione dell’attestazione di nascita richiesta.
La registrazione da parte dell’Ufficiale di Stato Civile
Con in mano l’attestazione di nascita, ci siamo recati (io e i miei Assistiti) presso gli Uffici dell’Anagrafe del Comune di Roma, per proporre nuovamente l’istanza ex art. 31 D.P.R. 346/2000, ossia la richiesta di iscrizione tardiva del bambino nato morto nei registri ivi detenuti.
Ebbene, l’esito positivo tanto atteso dai genitori del piccolo Riccardo finalmente è arrivato, assieme alla registrazione dell’atto di nascita.
La commozione dei miei Assistiti è stata tangibile.
Conclusioni
Alle persone che vivono la tragedia della morte prenatale di un figlio, le quali reclamano il diritto di attribuire il proprio cognome al bambino nato morto, dedico questo articolo perché possano intravedere una soluzione ai dinieghi di giustizia che spesso vengono opposti.
E per rispondere alla prima domanda: sì, tutti i bambini nati morti hanno diritto alla formazione dell’attestazione di nascita e ad essere iscritti all’Anagrafe, senza distinzione alcuna tra le diverse età gestazionali.