Amministrazione di sostegno: Le risposte alle domande più frequenti
Giudice tutelare amministratore di sostegno tutore e curatore
Quando si parla di misure di protezione delle persone più deboli le domande più frequenti che il cliente pone all’avvocato sono: quando è necessaria l’amministrazione di sostegno?
Esiste la figura dell’avvocato di sostegno? Come scegliere tra l’amministrazione di sostegno e l’interdizione?
Quando ricorre l’ipotesi dell’inabilitazione? Chi decide la misura più appropriata per la tutela della persona inabile?
Facciamo chiarezza.
Cos’è l’amministrazione di sostegno
In primo luogo, con il termine amministrazione di sostegno la legge si riferisce ad uno specifico istituto introdotto nel Codice civile con Legge 9 gennaio 2004 n. 6.
L’art. 404 c.c. prevede che in favore della persona impossibilitata, anche parzialmente o temporaneamente, a provvedere ai propri interessi, perché in stato di infermità o di menomazione fisica o psichica, l’assistenza di un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui il beneficiario ha la residenza o il domicilio.
Quando può essere richiesta l’amministrazione di sostegno?
Tale misura può essere richiesta a prescindere dalla gravità e della durata della infermità o della menomazione sofferte dalla persona incapace, in quanto occorre guardare al grado di complessità dell’intervento che dovrà svolgere l’amministratore, sia in ambito patrimoniale che non patrimoniale, nonché alla specifica capacità della persona che ne potrà beneficiare di compiere atti lesivi per sé stesso.
Di norma si predilige lo strumento più elastico e meno invasivo dell’amministrazione di sostegno nei casi in cui la limitazione alla capacità di agire dell’individuo da tutelare possa essere solo parziale, non costituendo alcun pericolo rispetto al potenziale compimento di atti dannosi per il patrimonio dello stesso.
Circostanza che al contrario si realizza in caso di patrimoni notevoli e di interessi patrimoniali significativi, per cui è da preferirsi l’attuazione della misura dell’interdizione.
Competente a decidere sull’apertura dell’amministrazione di sostegno (vedi Amministrazione di Sostegno modulistica) in favore di un soggetto ritenuto incapace è del Giudice tutelare presente presso ogni Tribunale, il quale decide con decreto specificando quali siano i compiti dell’amministratore sostegno e quali dunque le limitazioni alla capacità di agire inflitte all’amministrato.
Il Giudice tutelare sopraintende all’intera procedura e controlla l’andamento della stessa attraverso la documentazione depositata dall’Amministratore (vedi Amministrazione di Sostegno rendiconto)
L’interdizione giudiziale e il tutore
È la misura disciplinata dall’art. 414 c.c. che interviene a tutela di chi è affetto abitualmente da infermità di mente, tanto da essere dichiarato con sentenza costitutiva del tutto incapace di provvedere ai propri interessi.
Trattasi di una vera e propria alterazione delle facoltà mentali della persona che rende necessaria e inevitabile, per il fine di tutela che anima la disciplina dedicata alle persone incapaci, l’adozione della misura in parola, con preferenza su quella dell’amministrazione di sostegno.
La competenza a decidere sull’interdizione è del Tribunale il quale una volta pronunciatosi esclude l’interdetto dal compimento di negozi giuridici di carattere patrimoniale e familiare, che potranno essere compiuti esclusivamente con l’assistenza o l’intervento del tutore, salvo specifica dispensa ove si tratti di atti di ordinaria amministrazione.
Il Tribunale nomina un tutore provvisorio, contestualmente alla pronuncia di interdizione, cui succede quello definitivo su nomina del Giudice tutelare.
L’inabilitazione e il curatore
È la misura prevista dall’art. 415 c.c. a tutela delle persone affette da particolari condizioni psico-fisiche, tali da ingenerare una parziale incapacità.
Ricorre nei casi di infermità abituale e attuale di mente non grave, differentemente da quanto previsto quale presupposto per l’interdizione la cui operatività è subordinata all’esistenza di uno stato patologico grave, di prodigalità o di abuso di sostanze stupefacenti o di bevande alcoliche, in ultimo nei casi in cui la persona sia affetta da imperfezioni o menomazioni fisiche quali la sordità o la cecità che non siano state accompagnate da percorsi specifici rieducativi e correttivi.
La sentenza di inabilitazione comporta in capo all’inabilitato l’incapacità parziale di agire potendo compiere senza l’assistenza del curatore atti di ordinaria amministrazione e di carattere personale quali il matrimonio e il riconoscimento del figlio.
L’inabilitazione si estende esclusivamente ad interessi di carattere patrimoniale.
La competenza a decidere sull’inabilitazione è del Tribunale che nomina il curatore.
L’importanza della valutazione preliminare del caso
Le procedure sopra descritte possono essere tutte aperte mediante il deposito in Tribunale da parte di soggetti, pur non avvocati, di un atto definito ricorso.
Ma occorre evidenziare che se, da un lato, possono presentarsi casi in cui è la stessa legge a imporre l’adozione di una misura di protezione rispetto ad un’altra, in quanto non vi sono dubbi sulla definizione della concreta capacità di autonomamente gestire la propria persona e il proprio patrimonio da parte del soggetto interessato; dall’altro lato, il più delle volte siffatta scelta è ben lungi dall’essere così scontata, ove ricorrano casi caratterizzati da aspetti di forte complessità.
È in tale ambito che l’avvocato svolge un ruolo fondamentale di valutazione preliminare del caso, alla luce della propria esperienza maturata nella materia e delle più recenti pronunce giurisprudenziali, valorizzando le reali esigenze della persona che si vorrebbe sottoporre a protezione.
Ne consegue non solo un intervento a tutela della persona razionale ed efficace, ma altresì l’abbattimento dei tempi processuali per l’ottenimento del provvedimento richiesto.
Si tenga altresì conto che, in ogni momento, il Giudice chiamato a decidere può, nell’interesse esclusivo della persona inferma, rivedere la scelta della misura proposta ed eventualmente già accordata, rimettendo gli atti ad altro giudice, con decisione assunta d’ufficio, ossia su propria iniziativa, o sollecitata dall’avvocato della parte interessata, nell’ottica di una continua comunicazione tra le tre misure di protezione descritte.
Anche in tale ambito, il ruolo dell’avvocato è fondamentale onde poter correttamente rappresentare le richieste del proprio assistito che sia il beneficiario della misura o altra persona legittimata dalla legge a stare in giudizio.