Mobbing a lavoro: un fenomeno molto diffuso noto anche alla cronaca e che occupa molte aule giudiziarie. Cosa fare se si è vittima di mobbing. Lo scopriamo in questo nuovo approfondimento.
Definizione mobbing e come riconoscerlo
Per rispondere alla domanda “il mobbing cos’è” occorre rinviare alle categorie definitorie del diritto civile e in particolare del diritto del lavoro ed infatti, come noto, il fenomeno del mobbing consiste nella sistematica persecuzione esercitata sul posto di lavoro da colleghi o superiori nei confronti di un dipendente, che si concretizza nelle gran parte dei casi in piccoli atti quotidiani di emarginazione, pressione psicologica o demansionamento.
La definizione di mobbing vede dunque il ricorrere di almeno tre presupposti:
- la protrazione nel tempo di una condotta lesiva nei confronti del lavoratore;
- la volontà che sorregge la succitata condotta volta a perseguitare o emarginare il dipendente;
- la conseguente lesione che può riguardare sia il piano professionale che privato del lavoratore (sessuale, morale, psico-fisico).
Evoluzione giuridica del mobbing
Il mobbing è stato per anni è stato un fenomeno comunemente inteso come una mera “questione civilistica”, una derivazione patologica del rapporto di lavoro da leggersi in chiave giuslavoristica, o comunque una disarmonia tra colleghi di lavoro, con conseguenze da far valere – fondamentalmente – dinanzi al giudice civile.
Negli anni, considerato lo sviluppo del fenomeno e l’allarme sociale dallo stesso scaturito, gli interpreti hanno iniziato a vagliare la possibile rilevanza penale dei sistematici maltrattamenti ricevuti sul luogo di lavoro.
In concreto, la stessa magistratura ha iniziato ad interrogarsi sull’eventuale riconducibilità del mobbing ad una o più fattispecie delittuose.
È possibile che il mobbing implichi la commissione di un reato?
Chi esercita ripetute pressioni in ambito lavorativo può essere esclusivamente tratto dinanzi ad un giudice civile, o la sua condotta può essere oggetto di denuncia penale?
Il mobbing quale condotta penalmente rilevante
È importante evidenziare da subito che la giurisprudenza più recente ha dato risposta positiva al quesito (in armonia con quanto già in parte affermato dagli orientamenti precedenti), ipotizzando addirittura la configurabilità del delitto di stalking (art. 612 bis c.p.) nel caso di condotta “mobbizzante”, ovvero di quello di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.).

Il mobbing tra stalking e maltrattamenti in famiglia
La Quinta Sezione della Corte, infatti, afferma che “nessuna obiezione sussiste, in astratto, alla riconduzione delle condotte di mobbingnell’alveo precettivo di cui all’art. 612 bis cod. pen. laddove quella mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti, convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare e a isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro, elaborata dalla giurisprudenza civile come essenza del fenomeno, sia idonea a cagionare uno degli eventi delineati dalla norma incriminatrice” (Cass., Sez. V, sent. 14 settembre 2020 (dep. 9 novembre 2020), n. 31273.
Si ricordi a tal proposito la risposta fornita nel precedente paragrafo alla domanda che cos’è mobbing.
Ad onor del vero, il mobbing anche prima di questo orientamento interpretativo era stato ricondotto a taluni delitti: in primis quello di cui all’art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia), oggi peraltro ripreso da recente Cassazione (sent. n. 19268 dep. 16 maggio 2022).
La condotta di chi esercitava la pressione sistematica nei confronti della “vittima” veniva però inquadrata nel delitto di maltrattamenti in famiglia solo ove il contesto lavorativo in cui si sviluppava avesse i connotati della “para – familiarità”: normalmente si considerava il mobbing come rilevante penalmente secondo i canoni dell’art. 572 c.p. se le dimensioni aziendali (o comunque del luogo e dell’ambito lavorativo esaminato) fossero contenute e caratterizzate da quotidiana informalità.
Attualmente, la citata recente pronuncia della Cassazione ha invero ampliato le maglie di operatività del reato di maltrattamento in famiglia anche a realtà aziendali più ampie e complesse.
Oggi sussiste una nuova opzione interpretativa, in quanto, come detto, ad avviso della Cassazione il mobbing, a certe condizioni, può integrare lo stalking.
La Corte, nella sentenza suindicata, richiama e supera – di fatto – i precedenti orientamenti giurisprudenziali che hanno affermato la rilevanza penale del mobbing ritenendo integrata la fattispecie di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. che se, da un lato, assicurava un’efficace tutela alla vittima delle condotte mobbizzanti, inquadrandole nel delitto di maltrattamenti in famiglia, dall’altro, ne circoscriveva significativamente l’ambito di applicazione, limitandola ai soli contesti in cui fosse ravvisabile la natura para-familiare del rapporto lavorativo. (Cass. pen., Sez. VI, 13 febbraio del 2018. In senso conforme cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, 6 giugno 2016 n. 23358; Cass. pen., Sez. VI, 15 settembre 2015 n. 44589; Cass. pen., Sez. VI, 9 giugno 2014 n. 24057)
In conclusione, oggi il mobbing può essere astrattamente ricondotto a certe condizioni allo stalking, previsto e punito dall’art. 612 bis c.p., eventualmente aggravato dall’aver commesso il fatto con abuso di autorità ex art. 61 n. 11 c.p., oppure – in alternativa – al delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p.
Le possibili tutele per la vittima
Alla luce di quanto detto è possibile tutelarsi in sede penale presentando denuncia e – se del caso – facendo valere eventuali richieste risarcitorie ove dalla denuncia scaturisse un procedimento penale, mediante l’istituto della costituzione di parte civile.